Goodnews: soddisfazione in Italia al top da 12 anni

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IN BREVE

  • Il 46,6% degli italiani si sente realizzato: è il dato più alto da 12 anni.
  • I più ottimisti sono i giovani e i cittadini del Mezzogiorno.
  • Tra i motivi principali, l’occupazione.

Ascolta l'articolo (audio a cura di Fineconomy)

Sorpresa! Negli ultimi 12 anni, compresi quindi anche quelli precedenti al Covid, la percentuale di quanti si dichiarano molto soddisfatti della propria vita non è mai stata così alta. Nel 2023 su una scala da 1 a 10 il 46,6% ha dato una valutazione di 8,9 o 10: è una percentuale di ben sette punti maggiore a quella del 2017 e di ben l’11,6% più alta rispetto a quella del 2013, 10 anni prima. Non solo: è scesa al minimo, all’11,9% la percentuale di quanti non sono soddisfatti, ovvero un voto inferiore al 6.

L’aumento dell’indice di fiducia riguarda tutte le fasce di età, ma è leggermente maggiore della media tra i 25-44enni e i 45-64enni che sono gli italiani nel pieno della vita lavorativa e familiare e sono proprio questi a dare più degli altri una valutazione positiva sulla propria vita.

Gli italiani giudicano bene tutti gli aspetti dell’esistenza, solo il 9,1% definisce poco o per nulla soddisfacenti le relazioni familiari, mentre quanti si dichiarano delusi delle relazioni con gli amici e della propria salute non vanno oltre, rispettivamente, il 17,3% e il 18,7%. Nonostante nel caso della salute i giudizi siano di pochi punti peggiori nel Mezzogiorno, in realtà le differenze tra le varie aree geografiche del Paese sono poco marcate così come sono poco significativi i cambiamenti nel corso degli anni. Cosa allora ha determinato il cambiamento in meglio del grado di soddisfazione della propria vita?

Il carovita non affossa l’ottimismo

Gli indicatori più importanti, cioè che contribuiscono di più a stabilire l’indice generale di fiducia, sono quelli economici a partire dalla situazione occupazionale: se nel 2013 ad esprimere un giudizio molto o abbastanza negativo sul proprio lavoro erano il 23,5%, nel 2016 sono diminuiti al 19,6% e, nel 2023, al 17%.

Anche in questo caso ci sono interessanti differenze tra le classi d’età. Il segmento con il maggior calo della percentuale di insoddisfatti è quello dei 25-34enni che sono coloro che stanno cominciando a costruirsi una posizione in ambito lavorativo: tra il 2013 e il 2023, è scesa dal 24,8% al 15,7%. Allora questi giovani erano i più delusi di tutte le altre classi d’età, oggi sono quelli che lo sono meno (assieme ai 60enni ormai sulla soglia della pensione).

Se guardiamo poi alla situazione economica generale il cambiamento è stato enorme: come mostra il grafico, se nel 2013 solo il 40,1% degli italiani con più di 14 anni si dichiarava abbastanza o molto soddisfatto dello stato di salute del Paese, in 10 anni questa percentuale è salita al 59,4%. Lo stesso trend non è visibile in altri campi come il tempo libero o le relazioni amicali e familiari. Neanche la crisi pandemica e l’inflazione sono riuscite a scalfire la tendenza: a un leggero calo tra 2021 e 2022 è corrisposto un sostanzioso aumento nel 2023.

Ancora più rilevanti sono le risposte a una domanda più specifica cioè quando l’Istat chiede al campione rappresentativo della popolazione se le risorse economiche a disposizione siano sufficienti o meno: nel 2023 quanti affermavano che erano ottime o adeguate erano il 67,1%, esattamente come nel 2022, e solo l’1,2% in meno che nel 2021. Ma nel 2017 erano molti meno, il 58,4%. C’è stato un notevole miglioramento, che è stato più visibile nel Mezzogiorno dove si è passati, sempre tra 2017 e 2023, dal 50,2% al 64,3%! È notevole, soprattutto, che la più importante fiammata inflazionistica dagli anni ’80, che ha portato il carovita in doppia cifra a fine 2022, non abbia influito su questi dati. Eppure il potere d’acquisto delle famiglie consumatrici, ci dice sempre l’Istat, è sceso dell’1,51% tra l’estate del 2022 e la fine del 2023. Allora perché questi dati? Come si spiegano?

Il lavoro porta serenità

La risposta sta nei dati sull’occupazione perché è la mancanza di lavoro e la precarietà a essere sempre state in cima alle ansie dei cittadini in Italia. Ebbene, alla fine del 2023 il tasso di occupazione, ovvero la percentuale di quanti hanno un impiego tra i 15 e i 64 anni, è arrivato al 62,1%, un record: dieci anni prima era del 55,1% e prima del Covid del 59,2%. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare la ragione principale non è stata tanto l’incremento degli occupati tra i più anziani, i 50-64enni (ai quali la legge Fornero ha impedito il pensionamento anticipato). La svolta ha riguardato i giovani tra i 25 e i 34 anni, quelli che sono sempre stati maggiormente colpiti dal precariato e dalla mancanza di opportunità alla fine degli studi. Tra di loro la percentuale di lavoratori è salita tra fine 2013 e fine 2023 dal 58,8% al 69,4%: +10,6%. E il dato più importante è che l’incremento maggiore è avvenuto di recente perché tra l’ultimo trimestre del 2019 e quello dell’anno scorso si è passati da un tasso di occupazione del 63,2% a uno, appunto, del 69,4%. Insomma, in soli 4 anni c’è stato un aumento di ben il 6,2%, dall’ultimo trimestre 2019 a fine 2023.

Veniamo al Mezzogiorno. Qui il tasso di occupazione è salito addirittura più della media, del 3,8% negli ultimi 4 anni (fine 2019-fine 2023) a fronte del +2,9% italiano. Ma soprattutto tra i 25-34enni meridionali è cresciuto di ben il 7,5%, anche in questo caso più del dato nazionale.

A incidere è anche un dato qualitativo. Al contrario di quello che è accaduto per molti anni, dalla fine degli anni ’90 in poi, di recente c’è stato un calo dei dipendenti a tempo determinato: dopo essere aumentati di ben un milione e 41mila tra la fine del 2004 e la fine del 2019 sono calati di 184mila unità a marzo 2024. La riduzione è limitata, ma il dato in controtendenza è significativo perché nello stesso periodo (tra fine 2019 e marzo 2024) i posti a tempo indeterminato sono invece saliti di 1 milione e 130mila, più di quanto fossero aumentati nei 15 anni precedenti al 2019, cioè di 614mila unità.

La fiducia è un asset

E’ chiaro che questi numeri hanno inciso sul livello di soddisfazione degli italiani. L’aumento dei posti di lavoro permanenti sembra donare maggiore fiducia, sia in chi il lavoro ce l’aveva già e cerca di migliorare la propria posizione che in chi è temporaneamente senza impiego.

La fiducia in economia è considerata alla stregua di un asset, è un capitale sociale che incrementa gli investimenti. Per creare un circolo virtuoso benefico per tutti dovrebbe indurre le famiglie a cambiare i propri investimenti anche in senso qualitativo, indirizzandoli, proprio in virtù della maggiore fiducia, verso strumenti più redditizi del mattone e delle soluzioni più conservative tipiche dei risparmiatori italiani. Diversificando, perché va bene la fiducia, ma i principi base del corretto processo di investimento non si discutono.